La scadenza del 30 giugno per avvalersi dell’affrancamento fiscale si avvicina: quando conviene e quando no
Coloro che sono abituati a investire in strumenti finanziari sicuramente conoscono bene l’affrancamento fiscale. Si tratta di una soluzione prevista dalla legge di Bilancio 2023 e che permette dei risparmi d’imposta. Per lo stato la misura serve ad incentivare il gettito nell’anno corrente. Chi è titolare di quote in fondi comuni, azioni e polizze assicurative di RAMI I e IV, potranno sottoporre eventuali plusvalenze fino al 31 dicembre 2022 ad un’imposta sostitutiva al 14%.
E’ possibile scegliere se avvalersi dell’affrancamento fiscale o meno fino al prossimo 30 giugno, mentre il pagamento dell’imposta va fatto entro il 30 settembre. Apparentemente l’operazione conviene sempre e in ogni caso, ma non è sempre così e si consiglia dunque di consultare sempre un esperto. Andiamo dunque a vedere i casi in cui non è opportuno avvalersi dell’affrancamento fiscale.
Per prima cosa, nei casi di investimenti in OICR in regime amministrato o di polizze RAMO i e IV, l’investitore deve fornire all’intermediario la liquidità di provvista, effettuando il versamento all’Agenzia delle Entrate, se ci si è avvalsi del regime dichiarativo- Per le polizze assicurative l’affrancamento è possibile solo con la scadenza oltre il 31 dicembre 2024.
Affrancamento fiscale, quando non conviene
Per cui, i casi in cui non è tanto conveniente avvalersi dell’affrancamento fiscale sono due. Se si hanno problemi di liquidità e bisogna disinvestire qualche asset per pagare l’imposta, e se le quote dei fondi o le polizze detenuti investissero in titoli di stato. Ricordiamo poi che lo scorso anno è stato molto negativo per il mercato finanziario perché azioni e bond hanno ripiegato drasticamente a causa dell’aumento globale dei tassi d’interesse.
Per questo motivo gli investitori forse sono andati in perdita per quanto riguarda gli investimenti complessivi. In tal caso l’affrancamento fiscale avrebbe un impatto scarso a fronte di un onore non indifferente. Il risparmio sulla plusvalenza può infatti risultare davvero minimo. C’è però anche la possibilità che evitando l’affrancamento si arrivi addirittura a rimetterci del denaro.
In realtà non è possibile sapere prima quale sarà il valore degli asset detenuti quando arriverà il momento di disinvestire. Tutto cambia con l’affrancamento perché in quel caso si conoscono i valori al momento della vendita ed è possibile fare i conti. La regola è in generale: se disinvestiamo con plusvalenze finali inferiori all’85,7% meglio non esercitare l’affrancamento fiscale.