La crisi del gas e tutti i suoi derivati stanno colpendo anche il mercato degli affitti. Appartamenti e case in affitto finiranno per costare di più non solo per le utenze molto più costose, ma anche anche per altri problemi di tassazione influenzati dalla crisi.
Quando si stipula un contratto d’affitto per un’abitazione, sia il locatore che il padrone di casa devono stare molto attenti. Non soltanto per il costo di tutta l’operazione, comprensivo di canone d’affitto e di tasse da pagare sia da una parte che dall’altra, ma anche per la cedolare secca.
Crisi, ora c’è un problema anche con gli affitti
Il regime della cedolare secca è un’opzione per i contratti di locazione di immobili a uso abitativo che prevede il pagamento di imposte prefissate al 10% e 21% per il proprietario dell’immobile, a prescindere dal proprio scaglione IRPEF di riferimento. Questa opzione ha permesso per lungo tempo di stipulare contratti di locazione funzionanti ed evitare l’affitto in nero, ma con l’aumento dell’inflazione, la cedolare secca può cominciare a dare qualche serio problema. L’aumento del tasso di inflazione può rendere svantaggioso per il proprietario dare un affitto con cedolare secca.
La cedolare secca permette, opzionalmente rispetto alla norma, di sostituire l’imposta IRPEF con un’imposta sostitutiva e delle addizionali. Questo permette di sostituire alcune spese importanti, tra cui l’imposta di registro e l’imposta di bollo. Da notare che questa opzione può essere usata esclusivamente per contratti di affitti di immobili per uso abitativo. La cedolare secca agevola il proprietario, perché prevede un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti, escludendo il canone dal reddito complessivo con i relativi scaglioni IRPEF.
Quindi cosa succede quando entra in gioco l’aumento dell’inflazione? Succede che viene meno la possibilità di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione per tutta la durata dell’operazione. Anche se questa possibilità è presente nel contratto, inclusa la variante accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell’anno precedente. Questo significa che, in relazione al canone concordato dalle parti e dall’inflazione di oggi, potrebbe non convenire al proprietario dell’immobile mantenere la cedola secca.