L’inflazione prende nel suo vortice anche gli assegni per gli statali. Da oggi si allungano enormemente i tempi per ricevere la liquidazione. Alcuni particolarmente sfortunati potrebbero non riceverla affatto.
Il motivo della stangata che colpirà inevitabilmente le liquidazioni dei dipendenti statali va ricercato in eventi anche molto lontani dall’attuale aumento dell’inflazione. Il momento economico attuale ha soltanto acuito un processo già in atto e che adesso esplode in tutta la sua tremenda potenza.
Soldi, brutte notizie anche per gli Statali
Questi eventi abbasseranno di molto gli assegni di liquidazioni dei dipendenti pubblici, allungando, peraltro, il tempo necessario per riceverli. Per capire il perché di questi avvenimenti occorre capire le regole della liquidazione ai dipendenti statali del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e TRS (Trattamento di Fine Servizio). Queste regole sono state modificate per la prima volta nel 2012, durante la durissima lotta alla crisi dello spread. In quell’occasione fu richiesto un sacrificio ai dipendenti dello Stato e dalla Pubblica Amministrazione, nella forma di un allungamento a 2 anni del tempo da attendere prima della liquidazione dell’assegno.
L’attesa poteva poi durare fino a 5 anni nel caso in cui il lavoratore dovesse decidere di andare in pensione anticipata tramite Quota 100 o la successiva Quota 102. La liquidazione per i dipendenti pubblici parte da 100.000 euro. Questi vengono pagati in 2 rate: la prima dopo 1 anno da quando il dipendente è andato in pensione di vecchiai, pari a 50.000 euro. la seconda rata, sempre di importo pari a 50.000 euro, viene pagata dopo 1 anno dalla prima. Nel caso in cui la liquidazione fosse superiore a 100.000 euro è prevista una terza rata che viene pagata 1 anno dopo la seconda. Nel caso in cui si vada in pensione prima del tempo tramite Quota 100 o Quota 102 è comunque necessario aspettare fino al compimento dei 67 anni prima di poter ottenere la prima rata della liquidazione.
L’ABI e l’allora Governo Conte avevano stabilito un accordo per permettere ai dipendenti di accedere ad un anticipo bancario a prezzo calmierato. L’accordo, rinnovato di recente, permette un prestito fino a 45.000 euro a un tasso dello 0,4% più il cosidetto “rendistato”. Il problema attuale è che con l’aumento dell’inflazione, il rendistato è salito di conseguenza, con gli anticipi bancari su TFS e TFR che arrivano a costare, quando va bene, fino al 2%. Si potrebbe, comunque lasciare che i soldi vengano tenuti dall’INPS per poi prenderli con le rate normali entro 5 anni, ma in quel caso, i soldi sarebbero svalutati a causa proprio dell’inflazione, che porterebbe i soldi ottenuti tra 2 o 5 anni a valere molto meno di adesso.