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Pensioni, cosa accadrà davvero dopo Draghi

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Massimiliano Ciancaglioni

Al momento il governo ha accantonato la riforma delle pensione e si prospetta la Fornero: quali sono le ipotesi

Come ormai sappiamo bene, il governo Draghi è caduto e resta in carica esclusivamente per il disbrigo degli affari correnti fino al giuramento del successore. Questo vuol dire che almeno fino al prossimo ottobre non ci sarà una riforma delle pensioni. La maggioranza uscente aveva messo il tema in disparte, anche e soprattutto per la mancanza di punti di vista comuni.

La Lega intendeva introdurre forme di flessibilità in uscita a favore dei lavoratori, proprio come il Movimento 5 Stelle, mentre il PD era più cauto a riguardo. Ad ogni modo, fino al 31 dicembre i lavoratori italiani potranno andare in pensione con quota 102. Servono quindi almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi versati. Dal 1 gennaio invece torna in vigore la legge Fornero.

Pensioni, da cosa dipenderà la nuova riforma

In cosa consiste la legge Fornero? Età pensionabile a 67 anni per uomini e donne, ma in alternativa si può andare in pensione con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Il prossimo governo non ha molto tempo per decidere cosa fare e non è escluso che non riesca a varare in tempo una riforma per evitare il ritorno alla Fornero.

Dipenderà ovviamente anche chi salirà al governo: il centro-destra potrebbe prorogare quota 102 e difficilmente ripristinerebbe quota 100 a causa degli alti costi. Il PD invece potenzierebbe quasi sicuramente misure come Ape Sociale e Opzione Donna. Per cui flessibilità a favore delle categorie che svolgono lavori gravosi e delle lavoratrici con almeno 58 anni di età con 35 anni di contributi.

Cosa accadrebbe invece se vincesse il Movimento 5 Stelle. Probabile che si allineino sul pensiero del presidente Inps, Pasquale Tridico, sul permettere ai lavoratori di andare in pensione in due tempi. A 63-64 anni con la sola quota dell’assegno calcolata con il metodo contributivo, e a 67 anni percependo anche la quota retributiva. C’è infine anche la proposta di Silvio Berlusconi di un assegno minimo di 1.000 euro al mese per tutti

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