I lavoratori al momento si trovano a vedersi calcolare le pensioni attraverso sistemi differenzi: da quando si cambia sistema
Uno degli ostacoli della riforma pensioni è il sistema di calcolo delle rendite. Per molte di queste c’è infatti il calcolo col sistema retributivo e pesano sui conti dell’Inps: ecco perché il ritorno alla Fornero appare inevitabile. Fino al 1995 ci si basava sulle retribuzioni percepite dal lavoratore e l’assegno era liquidato sulla base della media degli ultimi anni. Un sistema che garantiva fino al 100% della retribuzione ma che non trovava adeguata copertura contributiva per sostenere la spesa pubblica nel tempo.
Ecco quindi che dal 1996 la riforma Dini stabilì un secondo sistema di calcolo che tenesse conto esclusivamente dei contributi versati e non più dei livelli retributivi. Il calcolo si trasformava quindi in contributivo e sarebbe entrato a regime in maniera graduale. In questo periodo di tradizione ci si sarebbe basati su un sistema misto, in parte retributivo e in parte contributivo.
Pensioni, quando si passa al nuovo sistema
Il sistema misto quindi tiene conto del livello medio di retribuzione percepito negli ultimi anni di lavoro, in una prima fase. Dopodiché si fa leva solo sui contributi che vengono realmente versati nel fondo pensionistico. Per i periodi lavorati fino al 1995 rimane quindi il primo sistema, e dal 96′ vige il secondo. Ne deriva pertanto che hanno diritto ad andare in pensione col sistema misto solo i lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996.
Chi invece ha cominciato soltanto dopo quella data si vedrà quindi una pensione liquidata con il sistema contributivo puro, che generalmente risulta meno conveniente rispetto a quello misto. Il sistema di calcolo contributivo della riforma Dini entrerà poi a regime per tutti fra una decina di anni. E’ chiaro quindi che si potrà ragionare su un nuovo sistema pensionistico solo da allora. Allo momento lo Stato ha la convenienza di frenare al massimo le uscite, che costano davvero troppo.