Il contributo dei 200 euro una tantum non può bastare a fronteggiare la crisi: ecco cosa servirebbe per i salari dei cittadini
Il Governo ha introdotto il famoso bonus 200 euro, quel contributo una tantum per fronteggiare le problematiche economiche scaturite dall’inflazione e dall’aumento dei prezzi, ma potrebbe non bastare. Come ha specificato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini: “Adesso servono 200 euro netti al mese in busta paga, per sempre non una tantum”.
Effettivamente sul fronte prezzi per quanto riguarda il carrello della spesa la situazione non era così allarmante dal 1986: da quell’anno infatti in Italia non si registrava un’inflazione a +8%. Landini ha ribadito durante il convegno Il lavoro interroga organizzato dalla confederazione di Corso Italia: “Bisogna aumentare i salari e il netto in busta paga”. C’è da capire però con quale tipo di riforma provare ad intervenire.
Bonus 200 euro, perché l’indennizzo non basta
L’obiettivo deve essere quello di garantire ai lavoratori un salario che si adegui ai nuovi costi, abbastanza alti, della vita quotidiana, e per questo non basta solo un sostegno sporadico di 200 euro. Landini aggiunge: “Se si fa con il taglio del cuneo fiscale i benefici del taglio devono andare tutti ai lavoratori: non è più il momento del ‘dividere un pochino’ e senza abbassare la guardia sul sistema pensionistico. Se tagliare il cuneo per aumentare i salari finisce con il tagliare anche i contributi che servono a una pensione di dignità è un problema da non sottovalutare”.
Il segretario generale di Cgil ha fatto presente la necessità di un intervento strutturale e non d’eccezione, e il fatto che bisogna combattere la precarietà eliminando le leggi sbagliate fatte in passato: “E’ il momento di istituire un unico contratto di inserimento al lavoro finalizzato alla stabilità. Dare per legge una validità erga omnes ai contratti, e questo vuol dire fare una legge sulla rappresentanza per vedere chi li firma i contratti”.