Il premier Draghi lo aveva annunciato all’indomani dell’invasione in Ucraina: nel caso di mancanze immediate di energia, potremmo dover riattivare le centrali a carbone. Quali sono in Italia quelle ancora funzionanti?
C’è un motivo per cui nessuno prendeva troppo sul serio la possibilità della riapertura delle centrali a carbone. Si tratti di strutture molto vecchie e molto difficili da riattivare una volta chiuse. Tuttavia alcune di queste possono essere recuperare per la necessità immediata.
Sono 6 le centrali a carbone ancora operative in Italia. I patti con l’Unione Europea prevedevano uno smantellamento totale delle centrali a carbone, per questo motivo ce ne sono rimaste così poche in tutto il territorio nazionale. Adesso non sono si pensa a utilizzare quei pochi impianti ancora attivi per aumentare la produzione, ma c’è la possibilità di rivedere gli impegni di Glasgow, che prevedevano di smantellare completamente gli impianti entro il 2025.
La riapertura a pieno regime delle centrali a carbone permetterebbe una indipendenza energetica dalla Russia per un calore attorno al 50%, considerando anche quanto il più vecchio dei combustibili fossile sia servito durante i primi tempi di questa crisi. La centrale di Civitavecchia ha lavorato a pieno regime per tutto l’inverno, come dimostrano le navi carbonifere a larvo del porto. Altri due impianti molto importanti che sono stati accesi a dicembre sono quello Enel di La Spezia e quello di A2a a Monfalcone. Entrambi facenti parti di quei pochi impianti a carbone ancora attivi. Le altre tre importanti centrali a carbone italiane che potrebbero essere riaperte sono le due situate in Sardegna, tra qui quella dei Monti Sinni, e una situata a Venezia.
Gli opertatori sono già stati pre-allertati: si procederà solo in caso di blocco dell’import da parte della Russia per sostituire i 5 miliardi di metri cubi di gas. Purtroppo c’è anche da fare i conti con le tempistiche di attivazione degli impianti e con il banale, ma importantissimo fatto che gli impianti sono stati utilizzati poco o niente negli ultimi anni. Per quanto riguarda la centrale di Monti Sinni, solleva perplessità il segretario territoriale Emanuale Maneddu. Sottolinea come la miniera possa offrire carbone di una qualità piuttosto bassa, utilizzabile solo se mescolato con altri tipi di carbone, e che in nessun modo può farsi carico da solo del fabbisogno energetico. Un’altra problematica sta nella ripartenza delle attività della miniera, ferme da ormai 3 anni. Per far ripartire i lavori occorrerebbero nuove attrezzature e la formazione di personale specializzato, tutte cose che richiedono soldi e tempo.