Arriva una buona notizia per lavoratrici e lavoratori, relativa ad una rivalutazione dei contributi INPS ai massimi dal 2010: la stima dei montanti previdenziali, considerati i livelli di inflazione, può rappresentare una vera svolta.
Notizie di rilievo sul fronte della Previdenza e, in particolare, dal versante Inps: si sta parlando della rivalutazione del montante dei contributi all’INPS che, di pari passo con gli sbalzi inflazionistici, arrivati in cima come non era dagli anni Ottanta, segna un punto d’ottimismo sulle prospettive dei lavoratori. Ovvero che cosa succede?
Partiamo da un dato, quello dell’inflazione: a maggio in Italia è balzata al 6,9%, il dato più alto dal 1986. Una brutta notizia per i lavoratori dipendenti e i pensionati, vale a dire la vasta platea che si basa su dei redditi fissi. Gli stipendi italiani in effetti perdono giorno dopo giorno potere d’acquisto con una velocità sconosciuta da decenni, e decisamente preoccupante.
Tuttavia dal 2023 le pensioni potrebbero essere indicizzate all’inflazione dell’anno precedente, e in forza di questo gli assegni dovrebbero subire degli aumenti importanti. E anche i prossimi pensionati potrebbero almeno assistiti in tal senso: i contributi INPS versati saranno rimodulati sulla scia di quello che si presenta come il tasso di capitalizzazione più alto dell’ultimo decennio.
In pratica, i contributi che ogni mese si versano all’ente di previdenza finiscono in un fondo, detto “montante”. Esso è rivisto anno dopo anno in base a l tasso di crescita medio del PIL nominale nell’ultimo quinquennio.
Rivalutazione contributi INPS: come funziona
Nel 2023, ci sarà dunque la rivalutazione dei contributi INPS versati al 31 dicembre 2021. Sulla scia del PIL nominale nel quinquennio 2017-2021, ci si proietta ad un tasso dello 0,94%. Dal 2024 la faccenda riguarderà i contributi INPS versati al 31 dicembre 2022 e rivalutati in base l’andamento del PIL nominale nel quinquennio 2018-2022.
Con un’inflazione al 5,7% e un tasso di crescita acquisito al 2,6%, si ipotizza che esso si porti in area 1.900 miliardi di euro, più di quanto immaginato dal governo Draghi con il DEF. Con questi dati, il tasso di crescita medio annuo nel quinquennio 2018-2022 sarebbe dell’1,9%, il più alto dal 2010.
Contributi Inps rivalutati: cosa cambia
Se ci si aspetta un’improvvisa impennata di ricchezza nelle proprie tasche, in un certo qual modo, potremmo considerarci fuori strada. Non è proprio così ma, a occhio e croce, non si tratta nemmeno di una pratica del tutto insignificante per la vita delle persone.
Stiamo infatti parlando di adeguamento di stipendi e salari a quelli che sono gli standard dei costi ‘esterni’ a cui dover concedere il nostro denaro. Vale a dire, al rapporto che l’inflazione produce tra potere d’acquisto e consistenza reale dei soldi nelle nostre tasche. Come noto, infatti, più alta è l’inflazione, minore sarà il potere d’acquisto dei singoli, e minori saranno i flussi di denaro che la gente si potranno permettere in termini di acquisti. Da qui, l’adeguamento.
La procedura dunque è palese: si tratta appena di indicizzare i contributi previdenziali all’inflazione, così come con le pensioni. Pertanto, il potere d’acquisto in sé non aumenta per i pensionati e il valore reale dei contributi INPS oscilla non con l’andamento dell’inflazione, ma con la crescita economica nazionale.
Le buone notizie si spera che arrivino nei prossimi anni proprio a seguito dell’accelerazione del tasso di crescita del PIL, ammesso che ciò avvenga.