Uno dei rischi che insolvenze o crisi finanziarie producono nei privati è il pignoramento dello stipendio: vediamo cosa sia, cosa comporta, quali sono i suoi limiti e gli iter.
Quando si parla di pignoramento dello stipendio si discute di una procedura subordinata all’articolo 543 del Codice di procedura civile che riguarda il prelievo coatto di una parte o di tutto l’emolumento che un privato dovrebbe incassare (da stipendi, pensione o altri redditi), così da ripagare le pendenze di un precedente debito o porre rimedio ad una procedura di legge. Andiamo a capire meglio di cosa si tratta.
Sono diverse le procedure di legge previste a disciplina del pignoramento dello stipendio. Spesso il modo di agire e l’iter cambia di anno in anno e anche a seconda delle regole che sono in vigore, così come del soggetto che risulta essere creditore.
In modo particolare vi è un protocollo molto specifico se il creditore è l’Agenzia delle Entrate. In questo caso, infatti, scattano alcune indicazioni molto specifiche. Vediamo quali.
Pignoramento dello stipendio quando il creditore è l’Agenzia delle Entrate
Le norme in vigore indicano che in linea di massima lo stipendio non può essere pignorato oltre il limite di 1/5. In questo senso il calcolo va fatto sull’importo netto e non su quello lordo, come spesso si crede, sbagliando. Ma le cose cambiano, in un caso specifico.
Infatti, quando il creditore è l’Agenzia delle Entrate, il pignoramento dello stipendio è soggetto a dei limiti diversi. Quali? Ecco come si calcola la quota pignorabile dello stipendio.
Quando ci si trova di fronte ad un pignoramento per il quale l’ente creditore è l’Agenzia delle entrate, allora le regole sono le seguenti. Il limite massimo oltre il quale il pignoramento non è più possibile è pari ad un 1/10 dello stipendio se l’importo non supera i 2.500€.
Se invece, l’importo non va oltre i 5.000€ si parla di un pignoramento pari a un 1/7 dello stipendio netto. Viceversa è pari a 1/5 dello stipendio se l’importo è superiore ai 5.000€.
Pignoramento, Agenzia dell’Entrate: quali stipendi si possono toccare
Diciamolo subito: non vi sono esistono stipendi non pignorabili, pur se di ammontare molto basso. Per dirne una, se la retribuzione mensile è di 300 euro al mese, il pignoramento consentito ammonterà a 60 euro. Tutto, cioè, avviene sempre secondo le percentuali stabilite dalla legge.
In pratica, quando si è proceduto al calcolo del “minimo vitale”, lo stipendio può essere sempre toccato per la parte che eccede. Un principio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 248/2015, dove si legge che anche nel caso di stipendio molto basso e pur se unica fonte di sostentamento il minimo vitale resta pari ai 4/5 dello stipendio.
Nel concreto, il pignoramento della busta paga si verifica dopo che l’atto di pignoramento dello stipendio viene consegnato dal creditore al pubblico ufficiale del tribunale. Che, in punta di diritto, procede con la notifica al lavoratore, al datore oppure all’istituto di credito.
Dopo 10 giorni, datore di lavoro o istituto di credito devono comunicare tramite PEC o raccomandata a/r la cifra dello stipendio del dipendente debitore.
In seguito, debitore e creditore sono convocati in tribunale e lì ci sarà l’udienza. In questa, il giudice andrà a verificare la concretezza e l’importo del credito e poi ad autorizzare il pignoramento dello stipendio, che sarà prelevato nella misura prevista dalla legge, e sempre basandosi sull’importo netto.