La crisi Ucraina porta anche a delle complicazioni interne. Una conseguenza dell’inflazione in aumento porterà il Fisco a scavare ancora di più nelle tasche degli italiani nel prossimo periodo.
La CGIA di Mestre mostra preoccupazione per la possibilità di una tassa occulta sull’inflazione che andrebbe ad aggravare ancora di più il già difficile quadro delle spese derivante dalla crisi in Ucraina. Stando a quanto emerge dall’analisi del Def (Documento di Economia e Finanze), lo Stato incasserà nel 2022 39,7 miliardi di euro di imposte e contributi in più rispetto all’anno scorso. Una parte consistende delle cause di un aumento così rigido del gettito fiscale è da ricercare nell’aumento dell’inflazione, che potrebbe avvicinarsi pericolosamente al 6% nel prossimo periodo. La CGIA di Mestre, che ha studiato questo fenomeno in divenire, auspica che il Governo si renda conto di quanto periocoloso sia questo percorso e che prenda dei provvedimento al riguardo.
L’impennata dell’inflazione è l’ennesima conseguenza della crisi in Ucraina. Con l’aumento del prezzo dell’energia, sia per il gas che per il petrolio, i trasporti di alimenti importati dall’estero diminuiscono di volume e aumentano di prezzo, portando ad un effetto valanga che rende i prodotti stessi meno disponibili sul mercato lasciando invariata l’offerta. Questo si traduce in un prezzo più alto per tutti i beni di consumo. Il meccanismo della cosiddetta “tassa occulta” dell’inflazione deriva dal fatto che, essendo le tasse sui prodotti venduti in percentuale sul prezzo totale, più aumenta il prezzo di un prodotto, più alto è l’importo della tassa da pagare su di esso.
La CGIA, tuttavia, avverte i cittadini che rimediare a questa situazione non è affatto facile. Le banche centrali dovrebbero contenere le misure espansive e aumentare i tassi di interesse, operazione che consentirebbe di diminuire la massa monetaria in circolazione. Questo, tuttavia, specie in un paese come l’Italia in cui il rapporto tra debito pubblico e PIL è tra i più alti del mondo, si tradurrebbe in un aumento ancora maggiore del debito pubblico. Occorrerebbe dunque in doppio intervento: da una parte mirare a far calare drasticamene la “spesa corrente”, dall’altra dare un taglio netto alla pressione fiscale.