Non colpire tua figlia con un cucchiaio: per il giudice sono maltrattamenti

Una pratica punitiva ormai datata e che oggi è passabile come maltrattamento. Ecco che cosa ha deciso il la Corte di Cassazione in merito a una madre che puniva la figlia con un cucchiaio di legno.

Le punizioni a colpi di cucchiaio di legno e ciabatte delle mamme sono oggigiorno oggetto di scherzo e battuta, perché si pensa che appartengano a un lontano passato. Tale passato tuttavia non è così lontano nel tempo, anzi, è abbastanza vicino da portare qualcuno a pensare che tali pratiche siano ancora utili per l’educazione dei figli. Alcuni potrebbero decidere di utilizzarli ancora oggi. I tempi però sono cambiati, e una pratica che fino a 20/30 anni fa sarebbe stata normale amministrazione familiare, oggi è considerata un maltrattamento.

Sul finire del 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che ha per oggetto una madre che usava punire corporalmente la figlia colpendola con un cucchiaio di legno. I giudici della Corte hanno sentenziato che la pratica è un maltrattamento e la donna è stata condannata a pagare una sanzione che è ancora in fase di discussione. I maltrattamenti da parte della donna sulla figlia sono stati confermati in tribunale e la donna condannata. Era infatti pratica interna alle mura domestiche, quella di infliggere alla giovane punizioni corporali tramite l’ausilio di un cucchiaio di legno, con cui veniva colpita ripetutamente. La cosa è stata considerata dai giudici della Corte di Cassazione come una “sistematica volontà dell’imputata di imporre alla figlia un regime di vita mortificante e violento”.

Dopo essere stato respinto il ricorso in Appello, la madre si è rivolta alla Corte di Cassazione, che ha tuttavia confermato la condanna, ma c’è discussione sulla pena inflitta. La sanzione alla quale viene subordinata la sospensione condizionale è infatti di 8.500 euro, somma che, a detta dei giudici, è stata calcolata senza tenere conto delle reali capacità economiche dell’imputata, che non potrebbe mai arrivare a pagare tale somma. La decisione per quanto riguarda la somma da pagare è stata dunque rinviata a una nuova sentenza d’appello dalla Corte di Cassazione.

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