I dipendenti pubblici che hanno lavorato in smart working potranno chiedere dei rimborsi, ad esempio per luce e gas. Quali sono i criteri per l’attribuzione delle indennità.
Si tratta ancora di una proposta in esame. A ipotizzare la possibilità di rimborsare i dipendenti in smart working è stata l’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di coprire in parte le spese sostenute dagli statali durante il periodo di smart working. Il cibo, le bollette di luce e gas, la connessione internet e persino l’affitto nel caso di eventuali postazioni in coworking.
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I criteri per ottenere i rimborsi
La somma a cui possono aspirare i lavoratori dovrebbe essere piuttosto contenuta. Inoltre, dovrebbe variare da un’amministrazione all’altra, perché andrebbe definita in seguito a una contrattazione decentrata.
Quello che è certo nella proposta, sono i criteri qualitativi per valutare il lavoro dei dipendenti pubblici, ricorrendo ai cosiddetti Piao (Piani integrati di attività e organizzazione) che devono essere messi a punto dalle amministrazioni pubbliche entro il 31 gennaio.
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Chi non percepirà nulla
Poiché il rimborso sarebbe legato a un criterio qualitativo del lavoro svolto in smart working, alcuni dipendenti potrebbero non ottenere nulla. Alcuni lavoratori, fanno notare i sindacati, potrebbero però essere svantaggiati. Gli statali che hanno una fascia oraria di operatività, potrebbero non aver maturato gli obiettivi minimi che verranno definiti, in particolare per quanto riguarda il monte ore.
A marzo i lavoratori pubblici e privati a lavoro da casa erano circa 5 milioni. Adesso il numero si è ridotto a quattro milioni e in particolare stanno diminuendo proprio nel settore pubblico.