I calcoli sulle pensioni anticipate si intrecciano sul nodo rivalutazioni. Un nuovo blocco sugli adeguamenti degli importi sarebbe il colpo di grazia.
Il nodo della riforma delle pensioni è più che mai presente all’interno dell’azione del governo e del dibattito politico all’interno del parlamento. Il cambiamento è stato richiesto dall’Unione Europea e deve essere strutturale e non temporaneo, questo per facilitare l’arrivo del Recovery Fund e pe sistemare i conti previdenziali italiani. Come noto Quota 100 terminerà i suoi effetti a partire dal primo gennaio 2022.
Per scongiurare il ritorno in vigore della Legge Fornero e quindi dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni e della quota contributiva a 41 anni e 10 mesi è stata deciso di introdurre temporaneamente Quota 102. Quest’ultima prevede 38 anni di contributi e 64 anni per l’anzianità, ma si tratta di un compromesso, in attesa di introdurre modifiche permanenti di cui ancora non si conosce forma e modalità.
C’è però un problema e riguarda gli assegni che dovranno essere versati: quanto si perderà con il nuovi regime previdenziale che partirà dal prossimo anno? La riduzione dell’importo previdenziale scenderebbe, per esempio, da 1181 euro a 934 euro, quindi con una decurtazione del 21%. Allo stesso modo un anticipo pensionistico a 63 anni, con 35 di contributi, vedrebbe calare l’importo da 1094 a 873 euro, quindi con un taglio del 20%. Ma il taglio potrebbe arrivare a sfiorare il 27% e i 300 euro.
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Non è solo questa la partita in ballo, ma c’è anche quella determinante delle rivalutazioni. Dal 1° gennaio 2022 infatti finalmente dovrebbe essere riconosciuto l’adeguamento al costo della vita con i nuovi scaglioni perequativi, ma potrebbe essere varata una rivalutazione calmierata che nel corso degli anni rischia di erodere il potere di acquisto delle pensioni.
Il governo ha approvato l’adeguamento a partire dal 1° gennaio 2022, ma dal Governo Monti in poi nessun governo ha mai approvato l’adeguamento con i dati inflattivi, bloccando l’aumento delle pensioni. Fino ad oggi la rivalutazione è così suddivisa: per le pensioni superiori a 3 volte il minimo e inferiori a 4 la rivalutazione era del 97%, del 77% per gli importi tra 4 e 5 volte il minimo, del 52% tra 5 volte e 6 volte il minimo, del 47% oltre 6 volte, del 45 oltre 8 volte e solo del 40% oltre 9 volte il minimo.
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Dal 1° gennaio invece la variazione dovrebbe essere, condizionale d’obbligo, sarà al 100% per gli assegni fino a 2mila euro, del 90% per quelli tra i 2mila e i 2500 euro mensili e al 75% per le pensioni che superano i 2550 euro mensili.
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