D’ora in poi sarà riconosciuto solo a chi non lavora, anche se si tratta di lavoretti di poche ore a settimana. Protestano le associazioni e i sindacati: “Colpiti i più fragili”.
Stop all’assegno di invalidità se si lavora. Il beneficio sarà corrisposto solo in caso di “inattività lavorativa”. E’ quanto stabilito dall’Inps alla luce di una recente sentenza della Cassazione. La Cassazione, con diverse pronunce, si legge in un messaggio dell’Istituto, «è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio.
Questo, pertanto, vuol dire che si ha diritto all’assegno di invalidità civile solo se non si lavora. Una notizia che non è passata di certo inosservata, in seguito alla quale molti rischiano di perdere l’assegno in questione. Tale forma di aiuto economico, pari a 287,09 euro, è stato sempre erogato a coloro in stato di disoccupazione. Allo stesso tempo è sempre stato possibile lavorare, a patto che il reddito risultasse non superiore al reddito minimo personale, pari a 4.931 euro all’anno.
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Secondo Ezio Cigna e Nina Daita, responsabili della Cgil per le politiche della previdenza e della disabilità, quella presa dalla Suprema Corte è una decisione molto grave che colpisce i più fragili che hanno già pagato un prezzo alto in pandemia. Secondo i sindacalisti questi lavoretti non sono altro che attività terapeutiche o formative con piccoli compensi, e quindi giudicano la decisione come inaccettabile. Stessa linea anche per la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra di Leu che, adesso, chiede di correggere l’equivoco e, dunque, di ripristinare il prima possibile la compatibilità dei “lavoretti” con l’assegno di invalidità, già di per sé di importo esiguo.
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Un problema, questo, che nasce con l’articolo 13 della legge 118 del 1971 secondo cui l’assegno doveva essere riservato solo agli incollocati, cioè ai disabili iscritti nelle liste speciali di collocamento; la legge 145 del 2007 ha sostituito incollocati con “che non svolgono attività lavorativa” e dal 2008 Inps ha spiegato che i “lavoretti” non possono essere considerati “attività lavorativa rilevante”. Ora il dietrofront, citando due sentenze della Cassazione del 2018 e 2019.
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