Il lavoro in nero è un rischio sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Ecco cosa fa il fisco e cosa si rischia!
Lavorare in nero? Non è mai un buon affare. Purtroppo, però, il lavoro in nero in Italia dilaga. Nel nostro Paese, l’evasione è diffusa e moltissimi sono i lavoratori non in regola che si accontentano pur di lavorare, anche se non messi in regola dal punto di vista contrattuale, fiscale, o contributivo. L’impiego di lavoro irregolare vale secondo l’Istat 79 miliardi, che fanno parte dei 192 miliardi complessivi di valore dell’economia sommersa, con una incidenza sul prodotto interno lordo del 4,5 per cento. Inoltre, secondo l’Istat, il tasso di incidenza del lavoro irregolare su quello regolare supera in media il 15%, toccando punte del 60% nel lavoro domestico o del 17% nel commercio.
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Attenzione, però, perché il lavoro in nero è un rischio non solo per il datore di lavoro ma anche e soprattutto per il lavoratore. L’azienda che impiega lavoratori irregolari può andare incontro a vari tipi di conseguenze. La prima cosa da considerare è l’azione civile del lavoratore che potrebbe chiedere ed ottenere la regolarizzazione del contratto, con pagamento delle eventuali differenze retributive. La seconda conseguenza, consiste nelle sanzioni cui il datore incorre, messe a punto dagli ispettori della pubblica amministrazione, d’ufficio o su segnalazione dei dipendenti.
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La sanzione amministrativa va da € 100 a € 500 per ciascun lavoratore interessato mentre la maxisanzione si applica in alcuni casi specifici a seconda della durata dell’impiego. Fino a 30 giorni, la multa va da € 1.500 a € 9.000 per ciascun lavoratore irregolare; fino a 60 giorni, si va da € 3.000 a € 18.000 per ciascun lavoratore irregolare; oltre i 60 giorni, si va da € 6.000 a € 36.000 per ciascun lavoratore irregolare. In caso di impiego di lavoratori stranieri o di minori in età non lavorativa, le sanzioni sono aumentate del 20%.
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Cosa rischia il lavoratore
Oltre alle sanzioni previste per il datore di lavoro, le conseguenze riguardano anche il lavoratore in nero. Se, infatti, chi presta lavoro in nero percepisce anche l’indennità di disoccupazione o altri bonus, vale il il reato di “Falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico” nel dichiarare il proprio stato di disoccupato all’Inps. Si rischia la reclusione fino a 2 anni oppure la la reclusione da sei mesi a tre anni. Il lavoratore è inoltre tenuto alla restituzione delle somme percepite indebitamente. Per verificare e calcolare guadagni in nero, l’Agenzia delle entrate osserva innanzitutto i movimenti bancari avvenuti sul conto corrente del contribuente. Se c’è di mezzo la vendita, l’Agenzia delle entrate va a caccia del ricarico utilizzando i metodi della media semplice e della media ponderata. Nel caso di guadagni in nero, il lavoratore può fare causa all’azienda in sede di tribunale civile e ottenere il versamento dei contributi relativi al periodo durante il quale si è svolto il rapporto di lavoro, gli straordinari non pagati, il pagamento degli stipendi non versati, il versamento delle differenze retributive, le indennità non pagate, il pagamento del Tfr e l’eventuale risarcimento per il licenziamento illegittimo.