Sarà sempre il contribuente a dover produrre le prove per dimostrare la non imponibilità dei movimenti bancari contestati dal Fisco.
Non c’è pace per i titolari di conti corrente, che sembrano essere stati messi al centro del mirino del fisco. In particolare quelli utilizzati dagli imprenditori sono sempre considerati come connessi all’attività lavorativa. Per questo è sempre il titolare a dover provare che non lo siano dimostrando che si tratta di tipologie di reddito esente, quindi provenienti da altre fonti, che siano risarcimento danni, già tassate, o ad esempio vincite al gioco. Il contribuente deve sempre dimostrare che le operazioni non siano dentro l’imponibile o, in caso contrario, saranno considerate come non fatturate e quindi recuperate a tassazione.
professionisti e lavoratori autonomi, diversamente dagli imprenditori, devono giustificare esclusivamente i versamenti effettuati sul conto corrente e non i prelievi. È grazie all’analisi delle operazioni bancarie non giustificate che Agenzia delle entrate sarà legittimata a procedere alla tassazione di tali somme. Rimane una limitata soglia di esenzione stabilita dalla legge: per le imprese non risultano imponibili prelevamenti o importi riscossi fino a 1.000 euro giornalieri, e comunque entro 5mila euro mensili.
Controlli del fisco, cosa accade in caso di conto cointestato
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In caso di conto corrente cointestato tra due o più persone la comproprietà è condivisa, fino a prova contraria. Dunque per il fisco esiste una presunzione di comunione, quindi l’onere della prova la non imponibilità delle somme che subiscono movimenti spetta ai diretti interessati, confermando che le cifre erano destinate a specifiche esigenza familiari.
Ciò può accadere, in particolar modo, nei casi in cui il deposito sia alimentato costantemente da uno solo dei coniugi, mentre l’altro si occupa solo di prelevare le somme necessarie al fabbisogno del nucleo familiare. Ed è su una situazione del genere che la Cassazione si è pronunciata, creando un precedente di una certa rilevanza.
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Infatti i giudici hanno sentenziato su un caso di un mediatore finanziario che era titolare di tre depositi, di cui uno cointestato con la moglie per un uso familiare. L’uomo ha dimostrato la non imponibilità delle operazioni contestate dal fisco. Numerosi di quelli effettuati dagli altri due conti singoli, infatti, avevano lo scopo di alimentare quello cointestato, utilizzato anche dalla moglie ma solo per rispondere alle esigenze del proprio nucleo familiare.