La Corte di Cassazione si pronuncia in merito al reato di atti persecutori, più comunemente noti come stalking. La Corte stabilisce che bastano una telefonata e pochi messaggi per ricadere nella condanna.
Quando ci figuriamo nella mente uno stalker la nostra mente lo riconosce come la classica figura di un uomo dal volto coperto che segue la sua vittima per la strada, si apposta fuori da casa sua e la spia. Chi è passato attraverso la terribile esperienza di essere seguito da uno stalker sa che non è necessariamente così che funziona. Spesso il comportamento persecutorio di una persone può manifestarsi anche solamente in una miriade di messaggi indesiderati su whatsapp, chiamate con toni minacciosi o inquietanti. In breve, anche senza un contatto fisico tra il persecutore e il perseguitato un comportamento può essere tacciato come stalking.
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Dello stesso avviso è anche la Corte di Cassazione, che con una recente sentenza ha decretato che bastano anche pochi messaggi o una telefonata perché un comportamento possa essere considerato persecutore contro un’altra persona. La sentenza è stata emessa per un caso in cui la vittima ha ricevuto una telefonata dal tono minaccioso dal suo persecutore e una moltitudine di messaggi sulla stessa linea, che i giudici hanno considerato abbastanza per modificare le abitudini della vittima e per ciò incidere nella sua intimità e psiche. Questi comportamenti sono stati ritenuti pesanti invasioni dello spazio intimo della vittima di stalking, indipendentemente dall’arco di tempo in cui questi vengono effettuati. Questo porta alla rilevanza penale di tali azioni.
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Nel caso specifico della sentenza, accertato che il tenore delle chiamate e dei messaggi sia chiaramente miaccioso e che si faceva esplicito alla famiglia della vittima e alla città nella quale viveva, per i giudici della Corte di Cassazione risulta credibile il racconto della persona offesa. Questa aveva riferito, infatti, che in seguito a tali conversazioni, nel timore che l’imputato potesse raggiungerla, aveva cambiato il suo stile di vita, pernottando provvisoriamente presso un’altra abitazione. Per questa ragione i giudici hanno ritenuto configurato il reato sul presupposto che l’imputato, con 1 telefonata e 12 messaggi su Whatsapp, avesse addotto reiteratamente un comportamento persecutorio idoneo a portare la vittima a uno dei 3 eventi previsti dalla norma per l’incriminazione per stalking.
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