Secondo Coldiretti, a risentire della crisi saranno soprattutto camion e trasporti. E a centrare è anche la Brexit…
Il costo della pasta, eccellenza italiana, aumenterà entro Natale. A fare le stime è Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana. Secondo Coldiretti, a causa della Brexit, gli inglesi stiano abbandonando anche la dieta mediterranea, dicendo addio a un pacco di pasta italiana su quattro. Questo trend porterebbe, col tempo, al crollo di una grossa fetta delle esportazioni dall’Italia. La Brexit, insomma, incide su benzina e cibo ed entrambe scarseggiano. Trasporti e filiera alimentare sarebbero i primi a pagare, tanto che Boris Johnson si è detto pronto a concedere un visto temporaneo a 5 mila camionisti stranieri per ripristinare le scorte ed evitare le lunghe file. Secondo l’associazione, è stato inoltre registrato un calo del 2% in valore degli arrivi di cibo e bevande Made in Italy nel corso del primo semestre dell’anno, in controtendenza all’aumento del 12% registratosi sul mercato mondiale.
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Di fatto, dopo la Brexit sono cambiate anche le abitudini alimentari dei britannici, con un netto calo delle importazioni dall’Italia di salsa di pomodoro (-14%), formaggi (-6%), vini e spumanti (-2%). Il rischio per l’Italia può arrivare fino a 3,4 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari annue Made in Italy con il Regno Unito, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Si rischia un crollo delle esportazioni fino al 27% tanto da far parlare di “allarme pasta”. Un aumento che potrebbe arrivare a 20 centesimi di euro al pacco entro Natale.
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Il Food Index redatto dalla Fao, un indice che accorpa i prezzi di una serie di commodities alimentari, ad agosto ha registrato un rialzo di oltre 30 punti rispetto ai 12 mesi precedenti. Secondo l’Istat, a settembre il rialzo dei bei alimentari è stato dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Il carrello della spesa è passato da uno +0,6% di agosto a +1,2% dei mesi successivi. Inoltre, la congiuntura internazionale su alcuni prodotti agricoli di trasformazione rischia di generare una serie di aumenti incontrollati. Si tratta di alimenti tra i più acquistati: la farina e ovviamente i derivati come il pane e la pasta, ma anche il riso, la carne, il caffè e il cacao. L’allarme è lanciato dalle associazioni di categoria e tutto parte dal mercato internazionale i cui aumenti generano un rilancio dei prezzi anche in Italia.
L’Associazione Nazionale dei Panificatori Pasticceri denuncia aumenti consistenti: rispetto al luglio dello scorso anno, c’è già un +9,9% sul frumento duro e un +17,7% su quello tenero con valori record simili a quelli del 2008. Non è nulla, però, se paragonati agli oli di semi raffinati aumentati del 33% e al burro del 31%. L’allarme viene rilanciato anche dal CNA, la confederazione nazionale dell’artigianato, che segnala aumenti del 50% del costo del grano e dell’olio di semi, un grave problema per panettieri e consumatori: “La semola di grano duro, utilizzata per produrre pasta e pane, è aumentata del 70%, quindi di conseguenza pastai e panettieri si trovano a dover aumentare i prezzi dei loro prodotti”.
Non è l’unico settore dell’agroalimentare in allarme, visto che sotto osservazione ci sono anche il latte e tutti i derivati. Infatti aumenterà anche il prezzo del foraggio per gli animali e questo comporterà un rischio di inflazione per tutto il paese in un momento in cui l’economia ha bisogno di essere rilanciata dopo il Covid-19 e la grave crisi che ha colpito il paese nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Per Coldiretti la strategia per contrastare l’aumento dei prezzi è stabilire un piano che preveda una maggior produzione di grano duro italiano: questo perché il nostro Paese importa circa il 40% del grano di cui ha bisogno, facendo inevitabilmente lievitare il costo del singolo pacco.
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