Il numero dei decessi nell’anno 2020 ha avuto ripercussioni sulle stime della speranza di vita, calata ad 82 anni, con una perdita di 14 mesi. Ecco cosa significa questo in termini di pensioni e importi degli assegni.
L’anno horribilis della pandemia, quello del 2020, ha avuto gravissime ripercussioni sulla condizione economica di moltissime persone e famiglie. Ma gli effetti si fanno sentire anche sulle aspettative, sulle speranze, sui desideri e, di conseguenza, anche sugli indicatori e sui tassi. Secondo gli ultimi dati disponibili, il numero dei decessi nell’anno 2020 ha avuto ripercussioni sulle stime della speranza di vita, calata ad 82 anni, con una perdita di 14 mesi. A dirlo è l’ultimo report dell’Istat sugli indicatori demografici del 2020: per effetto del forte aumento del rischio di mortalità, specie in alcune aree e per alcune fasce d’età, che ha dato luogo a 746 mila decessi, la sopravvivenza media nel corso del 2020 appare in decisa contrazione. La speranza di vita alla nascita scende ad 82 anni, sotto di 1,2 anni rispetto al livello del 2019. Per osservare un valore analogo bisogna andare indietro nel tempo e risalire al 2012.
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Il dato avrà forti conseguenza sia sull’uscita dal mondo del lavoro, che sull’importo degli assegni. Come sottolinea Italia Oggi, il calo della speranza di vita avrà un impatto sui coefficienti di trasformazione, il parametro principale che determina la cifra che incasserà il singolo pensionato. In sostanza, si andrà in pensione prima. Nel 2023, scatterà il nuovo adeguamento calcolato sul tasso di mortalità riscontrato nel 2020. I nuovi coefficienti tornerebbero al 2013, incoraggiando gli assegni e comportando uno stop ai tagli e un incremento nel bienni 2023-2024. Chi avrà accesso alla pensione in quel periodo, dunque, incasserà un assegno più pesante rispetto a quanto previsto finora. Per il 2025, l’aspettativa di vita dovrebbe tornare ai livelli pre-Covid pertanto gli assegni così come l’età pensionabile subiranno un nuovo adeguamento. Inoltre, una speranza di vita in decrescita, bloccherà l’innalzamento dei requisiti previsti per gli anni 2023 e 2024: ciò significa che il blocco dei 67 anni resterà invariato.
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Intanto, mancano 3 mesi alla fine di Quota 100 e le opzioni sul tavolo, al momento, sono diverse. Al momento, non si esclude davvero nulla. Sta di fatto che lo scalone è possibile. Dal 1 gennaio il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Per chi rimane fuori, ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento. La flessibilità a partire dai 62-63 anni con un insieme di misure, a seconda della situazione del singolo lavoratore e della sua mansione, sembra essere al momento lo scenario più credibile che potrebbe concretizzarsi a partire dal 1 gennaio 2022
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