Una sentenza delle Corte di Cassazione potrebbe aver permesso agli imprenditori di evadere, almeno in parte, i controlli del Fisco sui loro conti correnti.
I controlli dell’Agenzia delle Entrate sul conto corrente di un imprenditore partono sempre dal presupposto che ogni operazione effettuata sul conto sia parte dell’attività lavorativa del contribuente. Partendo da questo presupposto, nel caso di ulteriori accertamenti, sarà il contribuente a dover dimostrare con prove documentali che determinate operazioni di prelievo e versamenti sono riferiti a cause esterne all’attività. Alcuni versamenti possono essere frutto di un risarcimento danni, quindi reddito esente, oppure una vincita al gioco d’azzardo, che quindi è già sottoposta a ritenuta d’imposta. A differenza degli imprenditori, i professionisti devono giustificare solo i versamenti e non i prelievi. In entrami i casi, in caso di mancata giustificazione, l’Agenzia delle Entrate provvede a tassare le operazioni.
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La questione cambia quando parliamo di un conto corrente cointestato, ad esempio, dell’imprenditore o del professionista con il coniuge. In questo caso il presupposto di partenza è diverso, si parla di presunzione di comunione delle somme, che può essere superata da presunzione di segno opposto, sempre che le somme siano “gravi, precise e concordanti”. Con un conto corrente cointestato si può dimostrare, in caso di controlli, che gli spostamenti di somme sono avvenuti per specifiche esigenze familiari e quindi non imponibili. Anche in questo caso l’onere di presentare le prove documentali di quanto affermato spetta al contribuente. In pratica con un conto corrente cointestato si può dimostrare che mentre uno dei due cointestatari rifornisce il conto corrente, l’altro preleva somme per esigenze familiari. In questo modo le somme prelevate non sarebbero imponibili.
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Da qui torniamo alla sentenza della Corte di Cassazione. La Corte si è pronunciata in merito a un imprenditore con 3 conti correnti, uno dei quali cointestato con la moglie. Al controllo di questi conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’imprenditore ha dichiarato che il conto cointestato con la moglie serve esclusivamente come deposito di uso familiare. Di conseguenza le operazioni sotto controllo del Fisco sugli altri due conti sarebbero state effettuate per alimentare quello che l’imprenditore utilizzava in comunione con la moglie e rispondere quindi alle esigenze del suo nucleo familiare. La Corte di Cassazione ha ritenuto valide le motivazioni dell’imprenditore, chiedendo poi ai giudici ulteriori accertamenti in merito.
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