I Bitcoin e le criptovalute in generale sono fenomeni difficili da inquadrare persino per il Fisco, che ancora oggi ha problemi a tassare le operazioni che vengono fatte con essi.
La legge italiana, nella sua norma tributaria, presenta un vuoto normativo in merito alle criptovalute. Il fenomeno delle criptovalute, in virtù del suo essere molto recente e poco definibile, non è stato regolamentato e perciò non ci sono gli strumenti normativi per tassarne i profitti. Per coprire, almeno in minima parte, questo vuoto, l’Agenzia delle Entrate assimila le criptovalute alle valute estere, con conseguente estensione del regime si tassazione dei proventi realizzati con la cessione a pronti di queste ultime anche alle criptovalute.
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Nel caso di criptovalute acquistate su piattaforme online, e quindi senza sostituto di imposta, secondo l’ordinamento dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente dovrebbe autoliquidare e assolvere diligentemente l’IRPEF, o meglio, l’imposta sostitutiva del 26% sulle relative plusvalenze, compilando la propria dichiarazione dei debiti. In sostanza ci si affida alla correttezza dei contribuenti, che dovrebbero autonomamente eseguire le operazioni.
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Tuttavia il contribuente potrebbe reputare il versamento dell’imposta sostitutiva del 26% un pagamento indebito, quindi ripetibile nel termine di decadenza di 48 mesi dal pagamento previsto dalla legge. In questo caso può presentare all’amministrazione finanziaria un’apposita istanza di rimborso e dichiarazione rettificativa a suo favore. Nel caso l’erario non voglia rimborsare, il contribuente può impugnare il provvedimento negativo dinnanzi alla commissione tributaria.
In caso di patrimoniale, il prelievo è lasciato al libero arbitrio del contribuente, overo all’arbitrio della prassi dell’amministrazione finanziaria, che però non può rincorrere un fenomeno virtuale e sfuggente come le criptovalute. Questo compito spetterebbe al legislatore, che per ora non si è ancora pronunciato in maniera definitiva sull’argomento.
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