Secondo i dati dell’indagine Svimez-Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere, condotta su un campione di 4mila imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti, ben 73.200 rischiano la chiusura.
Sono 73.200 le imprese italiane che rischiano di chiudere. A dirlo un’ indagine Svimez-Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere, condotta su un campione di 4mila imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti. Il numero delle imprese a rischio corrisponde al 15% del totale. La causa, risiederebbe maggiormente nelle conseguenze del Coronavirus e delle restrizioni. La crisi economica innescata dalla pandemia ha avuto forti ricadute; così, le imprese a rischio sono quelle che “hanno forti difficoltà a resistere” alle conseguenze del Covid. Pesa “la fragilità strutturale dovuta ad assenza di innovazione (di prodotto, processo, organizzativa, marketing), di digitalizzazione e di export, e di una previsione di performance economica negativa nel 2021”, si legge nel report.
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Secondo i dati, quasi la metà delle imprese italiane è fragile (non innovative, non digitalizzate e non esportatrici), nella misura del 48%. Al Sud arrivano al 55%, per quasi il 50% al Centro, per il 46% e il 41% rispettivamente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. Infatti, quasi 20mila imprese a rischio sono proprio nel Mezzogiorno e 17.500 al Centro. Una quota quasi doppia riguarda le imprese dei servizi (17%), rispetto alla manifattura (9%).
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L’indagine ha riscontrato che il 30% delle imprese dei servizi e il 22% di quelle manifatturiere italiane dichiarano aspettative di fatturato in calo anche nel 2021. Emergono due fattori evidenti:
- nei servizi non si segnalano differenziali territoriali apprezzabili ed una persistenza della crisi soprattutto nel Nord-Ovest
- nel manifatturiero emergono invece le difficoltà di ripresa del Mezzogiorno, il 27% delle imprese con previsioni di performance negative contro il 19% del Nord-Est e il 25% del Centro.
Il Sud a rischio
“Dall’indagine emerge, oltre a una differenziazione marcata tra Nord Est e Nord Ovest, anche la fragilità di un Centro che si schiaccia sempre più sui valori delle regioni del Sud”, commenta il direttore Svimez, Luca Bianchi . “I diversi impatti settoriali, con la particolare fragilità di alcuni comparti dei servizi, impongono, dopo la prima fase di ristori per tutti, una nuova fase di interventi di salvaguardia specifica dei settori in maggiore difficoltà, accompagnabili con specifiche iniziative per aumentare la digitalizzazione, l’innovazione e la capacità esportativa delle imprese del Centro-Sud”, prosegue Bianchi.
Crollo dei consumi
Intanto, nell’anno della pandemia, sono stati persi 1.831 euro pro capite di consumi. A causa dell’incertezza e della paura legata alla perdita del reddito, si è verificato invece un aumento del risparmio, +82 miliardi nel 2020. A dirlo, il rapporto Confcommercio-Censis sull’impatto della pandemia sui consumi delle famiglie italiane. Dal report emerge che i lavoratori indipendenti sono i più colpiti dagli effetti economici della pandemia. Inoltre, proprio la concentrazione delle perdite su questa categoria rallenta la ripresa. Gli acquisti maggiormente effettuati dall’inizio dell’emergenza Covid sono i dispositivi hardware (22,8%); abbonamenti a Pay Tv e piattaforme televisive in streaming (18,8%); installazione di connessioni Internet più veloci (18,7%). Dallo studio emerge anche che il 18% delle famiglie ha modificato le abitudini alimentari cercando prodotti di maggiore qualità.
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Degli 82 miliardi di euro nella media del 2020 di risparmio, 66 miliardi sarebbero detenuti in forma liquida. Secondo gli esperti, questo fattore sarà la molla per la ripresa che scatterà quando le restrizioni verranno meno. Tuttavia, ad oggi, le famiglie guardano al domani con un occhio maggiore di fiducia. Per quasi 2 intervistati su 3 non è cambiato nulla in termini di risorse messe da parte insieme al reddito correntemente percepito. C’è anche chi, durante la pandemia, non ha perso nulla: dipendenti pubblici e i pensionati.
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Gli acquisti futuri
Per il 2021, gli italiani preferiscono spendere per aumentare il comfort domestico: al primo posto l’acquisto di prodotti tecnologici (32,9%); seguono elettrodomestici e mobili per la casa (31%); la ristrutturazione dell’abitazione (28,2%). Si prevede un incremento della dotazione familiare di tecnologia, mentre sembra “esserci una riscoperta dell’abitazione come luogo che produce benessere complici anche i diversi incentivi alle ristrutturazioni e alle manutenzioni straordinarie”. Anche l’automobile sarà un polo di spesa, spinto anche dai bonus.
Il report ha analizzato anche la spesa alimentare: il 65,3% delle famiglie non ha mutato le proprie abitudini alimentari; il 17,1% ha peggiorato le proprie abitudini; un altro 17,6% che ha invece optato per la ricerca di prodotti di maggiore qualità. Infine, anche la salute è una priorità per il 44,9% degli intervistati, si divide tra il tema fondamentale del ritorno al lavoro (36,4%) e quello del recupero di fiducia nel futuro (18,7%).