Smart working, tecnologia, lavoro a distanza: il Coronavirus ha cambiato il mondo del lavoro ed evidenziato le fragilità dei sistemi esistenti. Eppure, ha aperto anche a nuove prospettive.
Il Coronavirus ha cambiato il mondo e trasformato il mondo del lavoro. Eppure, ancor prima della pandemia, un’altra rivoluzione ha cambiato radicalmente le nostre vite e le nostre attività produttive. Internet, il web, i social hanno introdotto paradigmi nuovi e rivoluzionato i sistemi operativi. La trasformazione tecnologica e mediale ha impresso una svolta senza precedenti alle aziende che hanno dovuto guardare, per necessità, a fattori nuovi come algoritmi e data analytics. Le opportunità, sotto certi punti di vista, si sono ampliate e a figure vecchie o lavori tradizionali se ne sono sostituiti di nuove. Hanno fatto ingresso nuove figure e, guardando al futuro, la sensazione è che il mercato sia destinato ancora a cambiare.
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Secondo uno studio dello Us Bureau of Labor Statistics, l’aumento dello smart working sarà uno dei principali fattori di stimolo al cambiamento. “Il bisogno di spazio per gli uffici diminuirebbe, facendo crollare la domanda dell’edilizia non residenziale. Diminuirebbero gli spostamenti e con essi i costi del pendolarismo, dei viaggi d’affari e la spesa per i ristoranti in pausa pranzo”, fanno notare gli economisti. In prospettiva futura, questo potrebbe ampliare il mercato del lavoro, perché “non sarà più indispensabile assumere una una persona che vive dove ha sede l’azienda o nelle immediate vicinanze”.
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La pandemia ha mostrato tutte le fragilità dei sistemi che regolano la vita sociale ed economica del mondo e, nel caso dell’Italia, ha evidenziato la debolezza del nostro welfare e del sistema sanitario che, dopo pochissime settimane dall’inizio della pandemia, ha mostrato segni di cedimento. Il mondo industrializzato, tecnologico ed interconnesso non ha retto l’onda d’urto del virus e tutt’ora la scienza non sa delineare bene le tappe future. Certo, il vaccino è un’arma che sta aiutando nella compressione dei contagi ma, anche in questo caso, le incognite da risolvere e i nodi da sciogliere sono diversi.
Secondo gli economisti Immanuel Wallerstein, Joseph Stiglitz , Stephen Roach e Amartya Sen ci troviamo in un periodo di “stagnazione del sistema mondo”. Cioè – ricorda Giuseppe Spadafora – pensano che l’economia negli ultimi 70 anni “abbia condizionato negativamente la società ed abbia creato le basi per le disparità e la polarizzazione dei profitti verso pochi a scapito dei tanti”. In altre parole, il sistema capitalistico ha mostrato i propri limiti , così come la politica che si è rivelata incapace di affrontare totalmente la crisi.
Cose che cambieranno per sempre
Secondo gli esperti, alcune cose cambieranno per sempre a partire dall’esplosione del debito pubblico, che alla fine del 2020 è salito a 281 mila miliardi di dollari, circa 235 mila miliardi di euro, ovvero il 355% del Pil mondiale. Il debito pubblico dell’Italia è salito dal 134,6% del Pil nel 2019 al 157,5% nel 2020. Infatti, secondo le stime dell’Institute of International Finance di Washington, governi, imprese e famiglie hanno accumulato debiti per 24 mila miliardi di dollari, per far fronte all’emergenza Coronavirus. In prospettiva, superata la crisi, gli acquisti della Bce dovranno ridursi e, per rendere sostenibile il debito, l’economia dovrà tornare a crescere.
A differenza delle precedenti crisi, il Coronavirus si palesa come uno shock settoriale. Ovvero, a prescindere dalla produttività, ci sono settori più colpiti di altri. E, di conseguenza, settori che hanno reagito diversamente da altri. A questo proposito, le potenzialità dello smart working hanno attecchito meglio in settori più che in altri ma non è improbabile pensare che , superata l’emergenza, il lavoro agile possa rimanere in atto, determinando un cambiamento strutturale. Anche l’automazione, però, è diventata una fonte di grande disuguaglianza che rischia di distruggere posti di lavoro senza ricrearne tanti altri.
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A proposito dei settori, servizi essenziali o quelli erogabili online hanno risentito meno della crisi mentre settori non essenziali come gli hotel, l’intrattenimento di massa o il turismo, invece, hanno visto crollare le loro entrate. Fortemente penalizzate anche le vendite al dettaglio e il settore dell’abbigliamento. Come effetto indiretto del lavoro agile, il telelavoro potrebbe aumentare la domanda di tecnologie informatiche e le occupazioni ad esse legate. Ci si aspetta una contrazione della domanda per i ristoranti, i viaggi e gli alloggi e per i settori che dipendono dai grandi raduni, come eventi sportivi e spettacolo dal vivo. Inoltre, potrebbe rafforzarsi la polarizzazione tra chi ha lavori ben pagati e chi farà lavori meno retribuiti e più pesanti. Non a caso, le fasce meno istruite del mercato del lavoro hanno pagato un prezzo molto più alto durante il lockdown ed è aumentata anche la distanza tra laureati e non laureati.
Un altro effetto, la differenziazione tra outsider – cioè persone giovani, di sesso femminile e con contratti di lavoro atipici – ed insider – spesso uomini, adulti e con situazioni contrattuali stabili. Insomma, sarà avvantaggiato chi è fresco di idee. Ma, ci è entrato nel mercato del lavoro durante la pandemia, “soffrirà anche in futuro della mancanza di questi contatti e questo vale anche per la nascita di nuove imprese. In questo i giovani sono stati molto penalizzati”.
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Uno studio del McKinsey Global Institute – “The future of work after Covid-19” – ha come obiettivo quello di analizzare gli impatti duraturi sulla domanda di lavoro dopo la pandemia, analizzando occupazioni e competenze richieste in otto paesi con diversi modelli economici e di mercato del lavoro. Parliamo di Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, otto paesi che rappresentano quasi la metà della popolazione globale e il 62% del PIL. Quali sono, quindi, i dati più evidenti che emergono dai vari studi?
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