Dati critici dall’Eurostat sull’occupazione femminile in Italia. Il Belpaese è tra i Paesi Ue, quello con il più basso tasso di occupazione femminile. Dietro di noi, solo la Grecia.
“Il lavoro prima di tutto”. Il lavoro, diritto di ognuno, è diventato da qualche mese un privilegio. Chi ce l’ha è un privilegiato; chi non l’ha ancora perso un fortunato; chi lo trova un miracolato. La crisi innescata dalla pandemia da Coronavirus ha avuto ricadute sui tassi occupazionali e i numeri parlano chiaro. Stando ai dati sull’occupazione in Italia nel mese di dicembre 2020, pubblicati dall’istituto nazionale di statistica Istat, il tasso occupazionale è calato durante la pandemia ma, a livello di genere, ad essere colpite dalla crisi sono state le donne più che gli uomini. Nel mese di dicembre l’occupazione in Italia ha avuto un calo complessivo di 101.000 unità. Di queste, 99 mila sono donne: ben il 98%.
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Il dato viene confermato dagli indici dell’Eurostat relativi al 2020. L’Italia, secondo queste statistiche, segna in 4 delle sue regioni tassi che rientrano tra i 5 peggiori in assoluto dell’Unione europea, con indici negativi in Campania e Calabria, rispettivamente al 28,7 e 29%. Male anche Sicilia e Puglia. Anche le regioni più allineate con il resto della media europea – come Emilia Romagna e altre regioni del Nord – arrivano a tassi di occupazione delle donne superiori al 60%. L’occupazione media per le donne in Italia è calata dell’1,1% nel 2020, arrivando al 49%, mentre la media europea si assesta sul 62,4%.
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Nello specifico, meno di 30 donne su cento hanno un lavoro in Campania (28,7%), Calabria (29%), Sicilia (29,3%), Puglia (32,8%). In generale, i dati parlano di un’occupazione femminile inferiore di 13,4 punti alla media Ue. Peggio dell’Italia, in Europa, c’è solo la Grecia, che fa registrare un tasso di occupazione femminile al 47,5%, vale a dire di 1,5% al di sotto della media italiana.
Posti di lavoro persi
Lo scenario è tutt’altro che rincuorante e da tempo risuonano temi come la violenza di genere, i femminicidi, ma anche il divario occupazionale uomo-donna. Una realtà tristemente di fatto ancor prima del Coronavirus; da tempo le donne soffrono la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, così come salari più bassi e differenze di ruoli. Tematiche importanti che spesso, nel dibattito politico, sono state rilanciate in versione “quote rosa”. La pandemia, tuttavia, ha accentuato il divario e così il 2020 – l’anno della pandemia – ha significato perdite di 444 mila posti di lavoro, di cui 320 mila occupati da donne, cioè il 72%.
Le statistiche confermano le preoccupazioni di sociologi ed esperti. Un’allarme che Michela Morandini , Consigliera della parità, lanciava già ad inizio pandemia facendo il punto sul fatto che l’accentuazione delle disuguaglianze sarebbe stata una delle conseguenze più gravi dell’epidemia. Una situazione che deriva, tuttavia, dalla mancanza di adeguate misure di protezione e prevenzione e dall’assenza di un adeguata politica occupazionale femminile in Italia.
L’allarme
“L’ennesima ingiustizia nei confronti delle donne, penalizzate perché durante la pandemia hanno dovuto farsi carico, in modo quasi esclusivo, di famiglia e lavoro”, fa notare invece Elena Caneva di WeWorld, organizzazione italiana che difende da 50 anni i diritti di donne e bambini in 27 Paesi del mondo inclusa l’Italia. La differenza di genere causa una nuova povertà, che sta coinvolgendo tantissime donne in Italia e in tutto il mondo. Ma il problema è specialmente culturale: il contesto italiano pregiudica l’inclusione nel mondo del lavoro e le Istituzioni, su questo fronte, non reagiscono. Quanto mai ora sono necessarie misure da parte delle Istituzioni che non si riducano in una sterile polemica a tinte rose e che possano invece rispondere davvero ai bisogni delle donne.